Pomeriggio inoltrato a Showcase. L’orologio fa tic tac sull’ultima data del calendario: domenica 7 luglio. Davanti allo stand di Italo Marseglia, il giorno dopo lo show, Rossano siede beato sulla classica sedia da regista. Un’eleganza black & white la sua, spezzata dalla stanchezza e da un moderno pantalone beige.
Sembra essersi posato per la prima volta in quell’intenso weekend di moda capitolino, e con il cellulare in mano, abbraccia la morbida borsa sulle gambe, aspettando il ritorno dell’amico designer, e la chiusura di un nuovo capitolo di AltaRoma, a malapena finito di scrivere.
“Con questa presentazione, ho capito che d’ora in poi devo camminare su una sottile linea bianca”, attacca subito con aria bacchettina. Dopo quest’ultima prova, infatti, l’impavido regista tira le somme. Vorrebbe tapparsi la bocca, dice, vorrebbe mangiarsi le mani; vorrebbe tanto asciugare le sue tempeste creative cercando di non straripare mai più dagli argini delle passerelle: “così è arrivata la collezione, è arrivato il messaggio. Anche la sala 2 era perfetta, con un solo schermo non si è persa neppure l’intensità del filmato.”
Nei suoi pensieri, l’attenta autovalutazione di Vigilans Somniat: la linea SS20 di Italo Marseglia, che per il creativo duo, fuori e dentro gli spazi del Pratibus District, ormai raccoglie plausi e consensi da più di un giorno.

Dopo essersi liberato da Anna Cappelli, Ecuba, la poetessa Zinaida N. Gippius, le tragedie greche e da quella serie di parallelismi surreali, con quest’ultima prova – una semplice sfilata di moda con l’upcycling da retropalco stilistico, e una sognante ispirazione dai contorni noir – la mente dell’impavido Giuppa, è stranamente serena. Immancabilmente preda di una nuova ossessione, ma serena.
Si prende in giro, infatti, etichettando col termine “pipponi” quelle (ormai) vecchie performance che con Italo a braccetto, in un solo anno ad AltaRoma l’hanno visto esordire alla regia, liberarsi dai tormenti e cimentarsi in voli pindarici spassionati, mentre la musica dei Mòn a ritmo del suo indice, scorre dal device, e qualche volta spezza l’intervista, insieme al cervellotico equilibrio delle sue calde riflessioni.

“Ma guarda che faccia hanno, sono bellissimi”, irrompe in un primo momento indicando il video della band su Youtube. “Io e Italo, li abbiamo vestiti la prima volta per l’apertura del concerto del 4 luglio – Villa Ada Roma Incontra il Mondo 2019 -, e dopo una lunga consultazione, abbiamo concluso che loro si sarebbero occupati della colonna sonora.”
Mòn per Italo Marseglia @Villa Ada
Sono i Mòn, infatti, un gruppo di giovani musicisti romani, ad aver momentaneamente occupato cuore e pensieri dell’estroso event manager: “hanno un gusto estetico pazzesco, un sound internazionale… sono proprio innamorato di loro.”
Come dicevo, ecco la sua nuova ossessione. Dichiarazione snocciolata in un guizzo finale con aria sognante e la testa occhialuta che vagheggiando sullo schermo del cellulare, in un lento segno di resa fa il classico cenno del no. Dopotutto si sa – quasi come i lateralisti di De Bono – chi crea, fa, inventa, e vive di arte e poesia, scegliendo quella vita in larghezza come diceva De Crescenzo, è inevitabilmente destinato a innamorarsi da zero, ogni giorno.
Stavolta galeotto fu, quel contatto trovato per caso, come succede spesso dietro ogni suo iter progettuale. Un mix indie/rock elettronico che prima di arrivare ufficialmente sui fogli del comunicato stampa e nella scaletta musicale della sala 2 del Pratibus District, il giorno dopo lo show, dal cellulare fa anche da plasticoso soundtrack alla mia intervista travestita da chiacchiera, preparando il mood, l’atmosfera e il caro messaggio noir dietro la sofisticata collezione. Il quintetto capitolino, infatti, accetta la sfida come sound designer, e dopo l’esperienza a Villa Ada, si lascia nuovamente vestire da Marseglia, sfilando in passerella per la summer edition di AltaRoma, contribuendo così a mettere in piedi il progetto del regista: un’attenta esplorazione dell’inconscio e dei misteri del sonno.
“Nella clip ho ripreso il finale del film Shining, in un omaggio a Kubrick e a Nicholson, solo perché volevo nell’aria un’idea sussurrata di morte” spiega allora Rossano, che alla scoperta di una zona grigia, scoperchia il vaso di Pandora, e anelando un messaggio dai contorni sinistri, aiuta l’ispirazione “colei che sogna ad occhi aperti” a compiere inconsciamente un fantasioso viaggio tra realtà e immaginazione.
Un’alcova per due mondi, sogno/veglia che altrimenti avrebbero continuato a non toccarsi per sempre… cocciuto ritorno al parallelismo surreale, ormai faro analitico della coppia creativa e delle loro performance: dall’incontro tra follia/razionalità di Anna Cappelli, ai mondi atemporali di Ecuba/Zinaida, fino ai flebili confini tra realtà/immaginazione. Gli stessi che nell’inedita Vigilans Somniat, paion destinati a fondersi insieme. “Perché sotto questa idea leggera di morte – aggiunge ancora Giuppa-, tutto si può giocare sul sogno. Un sogno che non importa quanto è lungo o profondo, l’importante è viverlo allegramente, con i modelli che escono insieme, così anche i Mòn. Tutti a muoversi con teatralità e leggerezza, e quello che succede nel viaggio, trapasso/non trapasso, sinceramente alla fine non importa… ”

E nella profusione di quell’impalpabile idea di morte, la cinepresa sognante di Giuppa, come i puntini poi si sospende. Sfumando i contorni sinistri della sfilata, e seguendo quel vortice di leggerezza che immancabilmente sfuma anche il suo cerchio di parole, mentre il prezioso amico, di ritorno, attraversa gli spazi di Showcase vestito di bianco e sorridente: una nuvoletta felice con un mazzo di quotidiani sotto il braccio, e al collo penzolante la trottola elaborata: slancio del suo capriccioso numeretto, ormai sempre più fiero di credersi una lettera.
Il giovane stilista campano, infatti, con il suo approccio collaudato al sostenibile, dopo aver compiuto il viaggio a colori tanto desiderato, ritorna con successo tra gli spazi del Pratibus, e in quel momento davanti alla sua preziosa postazione.

Tra pizzi d’archivio dalla maison Sophie Hallette, vecchi campioni dal ricamificio Lusi e pellami ittici dall’islandese Atlantic Leather, l’idea dell’upcycling targato Marseglia, ha il solito cruccio di dare una seconda vita allo scarto e a quei tessuti abbandonati nei magazzini; seguendo il disincanto di una domanda che dopo ogni collezione per il creativo rimane sempre la stessa: “perché io devo utilizzare il lino riciclato quando posso avere dei pezzi di storia?”
E la risposta arriva dalla sala più intima del distretto fashion.
In quel sabato mattina quasi pomeriggio, tutto inizia sui cullanti rintocchi di un carillon – Aphex Twin con Nannou -, abbinati ai graffianti colpi di una chiave stridula, che seguendo il sound design dei Mòn, caricano di noir il sognante eco-patch del designer. Una scaletta che passando per l’inedita Moth della band romana, sussurra note misteriose alla viaggiatrice sonnambula, e in una sfilata co-ed arriva a concentrarsi su Midnight, the Stars and You, titolo di coda popolare della clip celebrativa a Shining, pronta ad imboccare il messaggio di Giuppa, rimarcando di sinistro l’atmosfera retro della linea.
E in quel contesto fumé, Italo ritorna finalmente alla dicotomia cromatica preferita, con diverse sfumature di bianco a rappresentare l’anima, pochi tocchi di nero la notte.







Un elaborato gioco di tagli e “rimonti”, dove i pizzi abbracciano un’identità moderna e si alternano ai patchwork di merletti, questa volta cuciti a mano; mentre il trench privandosi della sua anima street, diventa una vestaglia chic mixata al ciò che resta di una giacca da smoking completamente sventrata.

Un dressing down contemporaneo che furtivo passa tra gli spazi privati di un boudoir, rievoca il dna del brand, e calcando su una sensualità romantica, a suon di lingerie a vista e camicie da notte vittoriane, volutamente poi si imbratta di quei tocchi fetish sussurati; tra catene, piume e perle richiama alla mente le imbracature di gros grain marezzato e la vecchia capsule di Anna Cappelli adora i Baustelle.
Tutto seguendo l’accoppiata dei non colori per eccellenza: yin e yang perfetto a dipingere l’immagine ideale per la zona grigia e fumosa di Giuppa. Un luogo antropologico di collisione, dove non esiste la netta distinzione tra veglia/sonno, realtà/immaginazione, ma solo zone oscure e incerte del sogno… così i graffi della notte possono avere le fattezze di una tigre. Idea ricomposta da scarti organza laserata su un abito in tulle, seguendo la tecnica Spolia. Testimonianza di upcycling già nell’arte antica, che il designer scopre casualmente, nella basilica di Giunio Basso; esperienza lavorativa intensa, magistralmente prolungata nel pattern inedito del suo pret-a couture.


Dalla camicia in popeline di cotone, allo spolverino maschile, il feroce mammifero è attento a richiamare i giochi figurativi, e quell’idea secolare di recupero, che in uno spericolato ossimoro illumina di fascino letterario il bianco dei modelli, accendendo i riflettori anche sul denim. Lo stesso fornito dall’azienda Fratelli Bassetti Tessuti, che dopo un faticoso processo di sbiancamento per Marseglia diventa “quella pagina nuova su cui scrivere, il foglio bianco da dove ripartire”.


Così nel totale rispetto di quello che era stato, per Vigilans Somniat, il jeans appare alleggerito, tra baldanzosi abiti chemisier, pantaloni con pince dagli orli rasoterra e blazer con tasche drappeggiate, dove tagli studiati sul giromanica sensualmente scoprono la spalla.
Un calcolato gioco di vedo/non vedo, per una globe-trotter erudita che di terreno non ha nulla e poco importa, solo il rumore dei suoi passi, ammorbiditi da mules in pelle di salmone, e il vezzo di una pochette in mano, stretta al petto come fosse il libro più bello appena letto.


Ph. Credits AltaRoma ; beinspiredbysusy.com