“Ho visto prima le borse, anzi prima tra tutte la borsa con lo scarabeo, che insieme al nome Ecletta, mi ha fatto subito pensare a uno spazio che non fosse comune, un qualcosa di completamente fuori dal mondo”. A parlare, con una morbida tracolla nera orlata da borchiette coniche, è Piero Angelo Orecchioni, designer dell’atelier: “Appena ho visto quei dettagli, ho immaginato uno spazio per rappresentare l’anima di un’entità nascente, per cui non bastavano delle semplici mensole, ma un ambiente trasformabile… un teatro forse? Un club forse? Uno spazio particolare una chicca insomma, per mettere in scena i prodotti di questo nuovo marchio”.

Un lavoro portato a termine nel cuore di Roma, e che dal primo sguardo lanciato al coleottero smaltato, per l’architetto immaginifico non pare particolarmente difficile da realizzare. Complice della risoluta contezza creativa, l’identità dirompente di Giulia Venturi fondatrice del brand. “Solo dopo abbiamo deciso di chiamarlo Ecletta d’essai – incalza sorridendo la stilista – proprio come il cinema d’essai che alla fine è una rievocazione del passato, un luogo vintage ma pop, e quindi molto moderno”.
Incontro entrambi lo scorso 25 settembre, in via Vittoria 70, dove a fare da sfondo è proprio l’evento inaugurale dello spazio espositivo, con la bellissima Elena Santarelli, madrina e testimonial della presentazione.


Giulia Venturi (in alto a destra), ha capelli platino, un’anima pop e gli occhi glaciali che si scaldano improvvisamente alla parola passioni. Ed è perfetto il plurale perché le sue passioni sono tante. Dopo una laurea in Agraria le coltiva tutte: arte, musica, moda, cucito, insieme all’amore smodato per la tradizione italiana, e il sartoriale. E poi quel desiderio implacabile di mettersi alla prova, con una personale interpretazione del fatto a mano. Necessità rievocata casualmente in Toscana, la sua terra, quando per lavoro incontra alcuni maestri della concia: “da lì poi mi sono sempre più avvicinata al lavoro artigianale, paradossalmente più andavo avanti, più sentivo forte un richiamo verso la terra, verso tutto ciò che è primordiale”.
E rimestando cuore e know how, qualche anno fa decide così di scommettere su Ecletta, nome troncato dall’aggettivo eclettico, giusto il necessario per racchiudere tutte quelle esperienze di vita vissuta che-vuoi-o-non-vuoi inevitabilmente diventano bagaglio.
Una realtà concreta tradotta in morbide pochette “volutamente destrutturate” tiene a precisare la stilista. Contrasti di materiali differenti che messi insieme stranamente danno una specie di armonia: “Le mie borse, non sono le classiche rigide che stanno in piedi, sono sempre morbide, perché io punto sulla ricerca dei materiali e le chiusure, quindi la forma e la struttura non sono mai protagoniste” spiega la Venturi aprendo e ripiegando Adina, la maxi pochette realizzata in pellame double.


Osservando i pezzi, all’interno della boutique, sistemati sulla colorata serie di piedistalli, quel tocco etnico, quasi tribale aleggia protagonista: dalle geometrie con triangoli che sembrano punte di lance pronte a trafiggere, agli intriganti pattern maculati e muccati, fino ai dettagli 3D smaltati in oro e ottone brunito che riprendono serpenti, alligatori, scarabei e simpatici ranocchi.
L’abile gioco di scaglie, onde, plissettature, fa della pelle pregiata ciò che la Venturi vuole, ed esaltato dai toni speziati della paprika, miele, tabacco, ben si orchestra con i dettagli animalier, leitmotiv dell’emergente progetto. “Una collezione che, spesso, è un esperimento di pochette messe insieme – dice la designer – dove non manca mai il rispetto per l’artigianalità e l’attenzione per una lavorazione sempre più sostenibile”.



In ogni singolo accessorio, la stilista prova a imprimere un misurato twist contemporaneo, calibrando la sua anima pop, inspiegabilmente marcata dal tenace richiamo primitivo, ancestrale. Un dualismo capriccioso, dirompente, percepito subito da Orecchioni e quindi tracciato anche dal design della boutique, per restituire alla fine un prodotto esclusivo; una nuova interpretazione del made in Italy, che lo scorso 25 settembre tra cocktail fumosi alla frutta, e balletti tribali in vetrina, ha doppiamente lasciato il segno: un piccolo souvenir fotografico da portare a casa, un’idea (ormai) vintage, scattata al momento e tanto “fresca” da sembrare quasi all’avanguardia.