La Cello Suite No.1 di Bach parte d’un colpo, e subito immagino la designer sfilare in passerella. La fantasia non mi inganna perché insieme agli abiti, improvvisamente credo di vedere Caterina Moro in persona.
Era esattamente quello che volevo, penso. Sorrido.
Mentre l’elegante violoncello aleggia nella sala 2 del Pratibus District, nella mia mente la designer sceglie con cura quelle note ricercate, per far danzare al meglio gli abiti incartati nel loro recondito messaggio. Superba selezione la sua, che da un lato conferma una certa perizia con l’arte della musica, temprata da una laurea in Musicologia e un diploma presso il conservatorio Santa Cecilia di Roma, dall’altro nobilita l’atmosfera sublimando il passaggio della leggiadra collezione interamente dedicata ai suoi ricordi d’infanzia.
Alta, occhi verdi, capelli biondi in morbide onde, classica nei gesti e nelle parole, se non l’avessi conosciuta dal vivo, è così che a quel punto l’avrei subito immaginata.

Prima di arrivare alla sfilata, infatti, incontro Caterina Moro a Showcase, la vetrina di AltaRoma, spazio collaudato per la creatività emergente. A un anno dal lancio dell’eponimo brand, Paper la linea SS20 in quel momento è esposta sotto il nostro sguardo, fresca impalpabile, e pronta a segnare sotto l’hashtag collettivo #romeismyrunway, l’atteso debutto ad AltaRoma.
In calendario per sabato 6 luglio, con un’intensa parata di 8 look, la collezione racconta quel raffinato pezzettino di alta moda che la designer con piglio fermo, tiene a portare nel suo prêt-à-porter. Complice un Master in Haute Couture presso l’Accademia di Costume e Moda, grazie al quale Caterina apprende le tecniche di lavorazione necessarie, destreggiando con fare laborioso quei tempi di produzione davvero lunghi e certosini. Forse troppo da inglobare in toto nel suo fare: “non mi piace il termine pret-a-couture, diciamo che il mio è un semplice prêt-à-porter, ma fatto bene” spiega sorridendo, e avvicinandosi con un mezzo volteggio al suo abito bianco aggiunge “quando sull’organza di seta faccio questa lavorazione a mano con le fascette… ecco in questo senso, potrei usare la parola couture, ma solo tra virgolette e non nella pretesa di fare chissà che cosa”.

Leggiadra come una ballerina, schietta senza mezze misure, le creazioni sembrano il suo prolungamento. Un’idea emergente di moda, che nel lungo termine ha l’obiettivo di approcciarsi con piedi ben puntati per terra, all’esigenza galoppante di una produzione sempre più etica e sostenibile “dove posso lo sono, dove non posso non lo sono” chiosa la designer davanti a una superba plissettatua a spina di pesce.

“Lavoro con Omniapiega, un’azienda italiana che fa dei tessuti fantastici, ma per questo tipo di plissé è necessaria un’alta percentuale di poliestere, loro hanno anche dei materiali riciclati, ma io ancora non raggiungo i minimi sufficienti per comprare quel tipo di tessuto.”
Attenta a far combaciare la praticità, a parole edulcorate da sinceri sorrisi, Caterina Moro, poi mi racconta anche del progetto Waste Couture, un marchio di stampe biologiche, con il quale ha iniziato una partnership: ingegnosa collaborazione che ha trasformato tutta la parte fantasia, grandi fiori bianchi o pervinca, in qualcosa di assolutamente sostenibile.

Ma quella della sostenibilità non è una tendenza, e quella di Caterina non è una corsa, e neppure la calcata modestia nel produrre moda, abbracciando un consolante imperativo decoubertiano: “di fondo c’è sempre l’idea di fare ciò che sento mio” intervalla placida e spensierata più volte durante l’intervista. Perché alla designer poco importa se oggi la couture guarda di continuo alla strada, e se l’ormai vecchio tocco athleisure non incanta più il vestire pratico di tutti i giorni, figuriamoci dalle passerelle. E di fronte a un trend contemporaneo forte, come il rescuewear, che inevitabilmente invita alla riflessione accarezzando un modo di abbigliarsi che troverebbe senso solo in un campo di addestramento militare (da Fendi con tute multitasche, a Off-White con pants cargo in stile parachute, fino al freschissimo ed emergente Gall, esordio di AltaRoma con una linea pronta a sfidare la sopravvivenza dopo una catastrofe mondiale) Caterina torna alle origini e si concentra ancor più su stessa.
Dalle note nell’aria sulla passerella del Pratibus alla semplice t-shirt in cotone. Il messaggio, in quel pomeriggio modaiolo, arriva con una poetica freschezza. Il bianco predomina e diventa tavolozza su cui destreggiare quei romantici intrecci e forbite lavorazioni sartoriali. Le plissettature a spina di pesce e gli impavidi accartocci, vestono così le silhouette che diventano leggere e volteggiano come i suoi ricordi, fatti di bambole di carta, mentre i capispalla, glossy e trasparenti, stuzzicano l’intelletto mostrando laboriose rifiniture arzigogolate.
Paper dunque è una visione ancestrale dell’universo che la circonda: un mondo privato dove Caterina Moro, mette a frutto il suo background assaporando la libertà di remare contro tutto quello che succede intorno. Per il suo esordio ad AltaRoma, elabora semplicemente la memoria, innesca quel personale senso estetico per impreziosire i capi di tutti i giorni, e lo fa senza la pretesa di vestire principi e principesse, di contro sceglie l’azzardo: note bucoliche con cestini di vimini, fiori secchi e fili di paglia.
Here comes the sun (doo doo doo) … Mi verrebbe da cantare.