Italo deriva dal latino italus e significa “italo, dell’Italia”. Si dice che chi porta questo nome abbia un forte senso di appartenenza ad un gruppo, e sia molto esuberante. Forse per questo, inconsciamente, Italo Marseglia sente di volersi distinguere, e da bambino a scuola, già in preda al suo spirito creativo, forte e ancora acerbo, nello scrivere il suo nome sostituisce la I, con il numero 1.
Lo noto subito, quel numeretto incappellato da un simpatico puntino, che stampato sull’etichetta di “Albedo”, collezione Primavera/Estate 2019, si finge una lettera, e mi fa sorridere. É lui, l’incipit dell’omonimo brand, piccolo, creativo e pieno di carattere, proprio come il giovane designer, classe 1990, che ad AltaRoma, presenta la sua ultima linea di moda, durante lo Showcase, una specie di mostra fashion.
Conosco lui e la sua arte, proprio lì, per caso, all’interno della super vetrina, che realizzata in collaborazione con ICE Agenzia, giunta alla seconda edizione, è un tuffo a capofitto nella creatività emergente. Un percorso guidato da pedane di legno, dove il made in Italy domina l’atmosfera, e tra un’esposizione e l’altra, si può fare shopping, e ci si può trovare a tu per tu, con chi la moda la fa, ma anche con chi la promuove, e nella Capitale la sostiene da sempre.
Così ancora per caso, incontro Rossano Giuppa, l’estroso event manager che, all’interno dello spazio, trovo seduto su una sedia da regista, rapito da ansie e pensieri, a capo chino sullo schermo del cellulare, davanti alla postazione del giovane designer.
É lui, che subito mi presenta Italo Marseglia e le camicie di forza, protagoniste del suo show in programma il giorno dopo, in uno dei teatri di Cinecittà: “Anna Cappelli adora i Baustelle”, una storia di (non solo) moda, causa del suo visibile stato di tormento, venuta fuori dalla testa di Giuppa stesso, e da un congelatore in soffitta, e che vi racconterò meglio in un post dedicato.
Di Italo invece mi colpisce la pulizia “apparente” della sua arte. Un brand nato e voluto nel 2014, dopo gli studi scientifici, una specializzazione allo IED, e un lavoro nell’alta moda: un’esperienza intensa, durante la quale lo stilista, ruba le tecniche e la manualità, e capisce subito che è un mondo che non fa per lui.
Dietro una monocorde alternanza del bianco col nero, si nascondono tanti dettagli estrosi, che devi andare a spulciare tra rifiniture e tagli sartoriali, un mondo dinamico, tutto da scoprire, che il giovane designer campano, inizia a raccontarmi, partendo proprio dalla camicia bianca con i nastri di gros-grain marezzato, l’idea concepita e materializzata appositamente per la sfilata teatrale di Giuppa.
“Avevo bisogno di un progetto che cambiasse molto più velocemente, che avesse una dinamica più simile al pret-à-porter ma con tutte le attenzioni dell’alta moda”. Con i gesti cadenzati delle mani, abituate ad avere a che fare con i tessuti, da non so quanto, Italo seleziona i pezzi esposti sugli stand, per mostrarmeli meglio, e nel mentre mi parla di sé, dei suoi studi, del suo pret-à-couture, e di quando non riusciva a scrivere bene la i del suo nome, sicuramente perchè già in preda ad un forte spirito creativo, che insieme all’amore per la matematica e la logica, durante l’infanzia cercava di impadronirsi della sua singolare personalità.
Solo che lui non lo sapeva, ed è lì che intuisco la voglia di libertà, lo slancio per distinguersi, tutto racchiuso in quel modo curioso di scrivere un nome; questo, iniziando a testa bassa, con delle collezioni d’esordio, ancora più minimal e lineari, perché il giovane designer, sente proprio quel bisogno di “pulirsi” dall’alta moda, che lo aveva in un certo senso saturato di molte cose.
E seguendo i tempi dell’haute couture, Italo mi rivela di non esser in grado, di stare troppo fermo su un progetto a livello creativo, ma si sente più libero con un mix delle due cose, e con l’omonimo brand, oggi è purificato, finalmente pronto a plasmare con l’esperienza sartoriale, nuovi stimoli e rappresentazioni.
Ed ecco che “Albedo” la collezione PE 2019, continua lo studio alchemico iniziato nella collezione precedente, e continua ad evolversi verso qualcosa di più personale, capriccioso anche, mantenendo però, quell’approccio minimal e lineare. Prende il nome dal termine latino che significa “bianchezza” rappresentando l’alba, la rinascita, e che il designer utilizza tutta, per dare nuova vita al suo percorso ispirazionale.
I suoi abiti raccontano tante cose e non lo diresti, perché lo fanno a voce bassa, con i non colori per eccellenza, e dietro uno sviluppo geometrico matematico delle forma, che si ricollega a quella forte passione per i numeri.
L’idea del boudoir, la voglia di vestirsi bene in casa, e quel mood anni 70 con il glamour luccicoso che si porta dietro, e poi le uniformi rubate al mondo militare e a quello del lavoro, e le geometrie con le ipnotiche righe, un classico senza tempo. Questa è la sua “Albedo”, la sua rinascita.
Il suo leitmotiv capriccioso, che tiene insieme tante cose diverse, ma coerenti tra di loro, senza l’idea del calderone: un completo dal taglio pigiama con una giacca di seta, strutturata e super leggera, le piume che non portano pena, e rivestono delle ciabatte che è quasi un peccato non mostrare a tutti, un sensualissimo bustino a corsetto con gros-grain in cotone, e poi la passamaneria di lino.
“Albedo” ha uno stile contemporaneo, dove c’è molto utilizzo di materiali naturali. Italo pensa anche al futuro e vorrebbe fare qualcosa di ecosostenibile “la trovo un’idea lodevole, ma visto i costi proibitivi non è il tipo di cosa che riesco a fare io. Con un investimento così alto sul materiale, hai bisogno di abbassare altri costi”. Così, con rammarico, mi racconta di quando due collezioni fa, desiderava un lino riciclato che purtroppo costava il doppio di quello normale; un costo che avrebbe decisamente tolto tantissimo alla fase di realizzazione delle forme, rischiando di snaturare il suo prodotto.
Un prodotto che ha davvero tanti progetti per il futuro perchè Italo mi dice che dopo tanto tempo, dopo “Albedo“, finalmente inizia a sentire la necessità di lavorare a colori.
E vorrebbe andare in India, oppure tra i deserti dello Yemen, a compiere quel viaggio di moda, dove non è strettamente necessario acquistare un biglietto aereo: lui andrebbe con la fantasia, si lascerebbe trasportare, e chi lo sa, magari attraverso la sua arte, porterebbe anche noi.
Ed io dunque lo saluto così, con l’idea dei colori in testa, un nuovo viaggio di moda, e la curiosità di vedere le sue camicie di forza, protagoniste dello spettacolo “Anna Cappelli adora i Baustelle” lo show teatrale, che per la prima volta ad AltaRoma, ha portato innovazione, con un mix contemporaneo di moda, teatro e musica… tutto sprigionato da un semplicissimo congelatore Iberna, tormento di Giuppa, che da una soffitta, arriva in passerella e alla fine dello show, diventa il prezioso regalo che Rossano fa al giovane designer campano… Ma questa, come vi dicevo, è una storia di (non solo) moda, che vi racconterò la prossima volta.
Photo Credit: F. Lattanzi – L. Latrofa / Luca Sorrentino – Sonia Rondini