Da piccola mi porto nel petto una forte attrazione per i serpenti, anche se in realtà, le volte in cui mi è capitato di trovarmi faccia a faccia con uno di loro, mi sono sentita gelare il sangue. Il fatto è che mi affascinano. Neppure io lo so cosa mi prende: gli occhi si spalancano perplessi, il respiro si blocca e resto immobile, senza scappare con apparente stato di sfida.
M’incanta vederli strisciare, liberi, per terra, e (lontano da me, ovvio) fare quella specie di s sinuosa e spaventosa.
Come un paio d’anni fa, a fine agosto, mentre scattavo alcune foto a mia sorella, in Calabria in un parco pieno di alberi di ulivo. La bestiola, lunga e nera, mi sbuca a duecento metri, spavalda e indisturbata, striscia da un albero all’altro, per poi sparire forse in qualche buca, dietro un mucchietto di pietre.
Rimasi per qualche minuto a bocca aperta, e la mano sul petto che quasi sobbalzava al mio ritmo cardiaco accellerato, mentre mia sorella continuava a spararsi le pose, senza accorgersi che aveva perso il fotografo (cioè, io).
O qualche mese fa, forse dopo “o trono de marzo”, quel tuono che, secondo un antico proverbio indica l’arrivo della primavera, ed è tanto forte da svegliare le serpi dal letargo. Ero in bicicletta vicino casa, e da lontano, sul ciglio della stradina, una serpe nera e argentata, prima alza il collo, per guardare se la via è libera, poi veloce e furtiva taglia elegantemente la strada.
Il fatto, andò in scena ad un km da me, smisi di pedalare all’istante, e il primo pensiero fu quello di girarmi e scappare nella direzione opposta, ma mi bloccai, a scrutare l’animale con gli occhi spalancati, pavidamente sedotta dai suoi movimenti sinuosi e spaventosi, appunto.
Inconsapevolmente credo di chiamarli a me in qualche maniera. Fin da piccola, mi è capitato diverse volte di incrociare la loro via, e di storie di incontri ravvicinati con il rettile allo stato brado, ne potrei raccontare tante, tante altre ancora. Solo che non è proprio questa la sede, almeno per adesso…
Tuttavia, ogni volta non riesco a spiegarmi questa strana attrazione/paura. So che è legata alla mia infanzia, vissuta tra città (durante la settimana) e campagna (tutte le domeniche che Dio ha creato, comprese le vacanze estive) e all’amore smisurato per la natura, la terra, l’orto, gli animali (tranne le zanzare, che però sono insetti), e gli spazi verdi incontaminati. Colpa di mia madre, credo di avere preso un po’ da lei, quella sana vena campagnola che poi, ogni volta mi chiedo cosa diavolo c’entra con la mia passione, il mio mestiere, e con la parola “fashion” che quasi viene automatico associare alla frenesia della vita metropolitana, ai tacchi, alle unghie sempre smaltate, al traffico, al prestigio, alle luci e al glamour del centro città.
Non so dirvi davvero.
Ma di certo la #bellabimba Sonia Rondini, pr romana eclettica, in equilibrio perenne a detta sua, sembrava sapesse la mia storia dei serpenti, della natura e quel mio desiderio, made in Rome, di diffondere arte e moda, che da poco più di un anno, sfogo digitando lettere su una tastiera.
Grazie a lei, tempo fa, ho conosciuto Patrizia Pelo e Lucilla Morgera che, se non fosse stato per una collanina indossata proprio da quest’ultima , forse non avrei mai scoperto la particolare arte scultorea di Giulia Barela. “Sto organizzando una serata d’inaugurazione da Suite76, se vieni, vedrai il nuovo shop di Patrizia e conoscerai anche la designer di questi bijou” così una sera mi disse Sonia, sorridendo e piegando la testa, mentre io con la coda di un occhio guardavo il suo allegro ciuffo biondo, e con la coda dell’altro la s sinuosa e spaventosa del serpente in bronzo dorato aggrappato al collo di Lucilla, Sales Director del brand.
Provando quella pittoresca attrazione/paura per il rettile, stavolta plasmato in un bijou, con la mano della Rondini su una spalla ascoltavo le sue parole, e scrutando i particolari di quella collanina, entusiasta rivedevo anche un po’ me (non che io mi senta una serpe), la mia infanzia e quella mia grande affezione per la natura, e stranamente emozionata, io e il mio sorriso che, da mezza bocca arrivò improvvisamente a mezzaluna, annuimmo educatamente all’invito.
Roma parla di moda piano piano, e se la vuoi seguire, ti suggerisce tutto come fosse un segreto, ma per pochi eletti. Devi andare a scovarla negli spazi antichi, quelli nascosti tra centinaia numeri civici, che di storie ne hanno da raccontare più dei sampietrini stessi a volte.
E così, con i serpenti di Giulia Barela in testa (tipo Medusa, scherzo), e la voglia matta che ho di gridare al mondo che la Capitale non è solo buche e manifestazioni, che la Capitale è fashion, e ha da raccontare tantissimo in fatto moda, design e accessori, qualche settimana fa, dietro quell’invito, sono andata in centro, a due passi da Campo de’ Fiori, in via del Pellegrino, all’inaugurazione di Suite76.
Un concept store nato da poco, dall’idea di Patrizia Pelo, che ha saputo concentrare in un piccolo spazio di un piano e mezzo, diversi elementi rigorosamente made in Italy, ricercati e selezionati con gradevole equilibrio.
Da subito si respira uno spirito cosmopolita, che per dare quell’impronta di tendenza, di base ruba design e minimalismo alle atmosfere nordiche, per colorarle all’istante con riconoscibili tocchi italiani, dove tutto ciò che si vede, è acquistabile.
Tra lampade colorate, vegetali appesi con ciuffi verdi che ricordano simpatiche ananas, oltre agli abiti firmati Brand Unique e alle borse atigianali Sophie Habsburg, ci sono elementi d’arredo Antica Tessitura Calabrese, e le ceramiche colorate di Enza Fasano.
E così in quella serata, con il total white della location, rallegrato dal buon auspicio dei pumi pugliesi che, dall’alto delle mensole laccate, riprendendo la forma di boccioli pronti a schiudersi, auguravano solo cose belle e tanta prosperità, tra una fragola, un calice di prosecco e le musiche ambient del Dj Walter Confortino, ho potuto conoscere anche la designer Giulia Barela.

E in una selezione di Patrizia, fatta per completare con un tocco prezioso la ricerca di shopping nella sua boutique, ho rivisto i serpenti, nella teca divenire bracciali, poi orecchini e infine collane. Altre versioni e diverse misure, di quella galeotta, al collo di Lucilla, tempo prima.

E poi i bracciali leggeri rubati ad “Africa”, le collane piene di piccole nuvole “Air” e le foglie di “Indian Leaves” quest’ultime in particolare, realizzate per sfogare la forte passione della designer per la natura.
Bracciale in bronzo dorato e argento | Africa

Anello doppio e orecchini | Indian Leaves
E mentre pensavo alla mia, di passione, felicemente condivisa, Giulia Barela mi raccontava dell’esigenza di scultoreità che attraverso la sua arte, ogni volta cerca di soddisfare, insieme alla leggerezza.
“I gioielli devono essere indossabili, perchè una volta messi, bisogna goderseli”, mi ha spiegato così, la predilizione per il bronzo, che lei stessa utilizza dal 2011 in molte creazioni, proprio perchè consente di fare degli oggetti grandi, senza che siano troppo pesanti.

E poi la lavorazione a cera persa, l’amore per l’arte contemporanea di Fontana. Mi ha spiegato dei serpenti, che fanno parte della linea Enchanted, e lei stessa ne indossava uno: l’orecchino singolo Hooked in bronzo dorato, che mentre mi parlava, scuoteva con la testa per farmi percepire appunto la leggerezza. Raccontata poi, in un lavoro durato un anno, dove ha sviluppato anche dei sottotemi del rettile, con l’occhio della parure Eye, e il taglio che permette di comunicare con il mondo interiore e quello esteriore, proprio come i Tagli di Lucio Fontana che invitano a chiedersi cosa possa esserci oltre la tela, e uniscono il mondo dietro il quadro con quello davanti.

E poi la pelle Skin dove l’artigiana ha tirato fuori la spina dorsale dell’animale, per esaltare tutta la forza che abbiamo dentro di noi. E quel movimento tentatore ripreso in Twisted e in Coil, con i serpenti – in oro puro, rodio nero o argento – che si mordono la coda e giocano con il corpo di una donna.



E infine lei, Ribbon, si chiama così quella collana. La stessa che mi ha fatto provare quella pittoresca attrazione/paura che da piccola mi porto nel petto. Lei mi ha parlato di me, del mio amore per la natura, delle mie paure strampalate, della mia infanzia in campagna, e l’ha fatto attraverso l’arte e la moda, con una s sinuosa e spaventosa che, voleva semplicemente racchiudere nella scultoreità del bronzo dorato, l’incontrollabile esigenza di un’artigiana di esaltare la femminilità e raccontarla.
P.S. I gioielli Giulia Barela sono disponibili su Roma, presso lo store ufficiale Giulia Barela Jewelry, in piazza di San Pantaleo, 3, e nel concept store Suite76, in via del pellegrino 76. E’ possibile inoltre, acquistare e consultare tutti gli altri rivenditori del brand, consultando il sito: giuliabarela.com