I cappelli di Roberto Lucchi sono un’artigianale estensione della personalità. Mi basta provarne uno per vedere la magia, dietro quel pezzetto segreto di me, che in cima alla testa mi rammenta chi sono – o chi magari in cuor mio sento di voler essere.
Nonostante l’emergenza sanitaria, faccio in tempo a incontrarlo a inizio autunno, durante l‘ultima edizione di Showcase, lo spazio espositivo che Altaroma ha allestito a Palazzo Brancaccio. Davanti alla sua ultima capsule, Lucchi ha una silhouette leggera, sembra venire da un mondo un po’ fermo nel tempo, di quelli che piacciono ai bambini, quando gli si narrano storie di boschi, folletti e magie. Mentre parla, in realtà poi penso anche al Western, e a quel simpatico di Lucky Luke – lo sceriffo creato da Morris, fumettista belga -, ma la versione televisiva, interpretata da Tecence Hill negli anni 90. Una consonanza dettata dal bavaglio (ossia la mascherina sanitaria), e dalle calde cromie color sabbia del cappello da pistolero che indossa. Sua creazione (of course!).

Il progetto, nella sua testa si accende per caso: “Un giorno ho pensato: voglio un cappello personalizzato, non ho trovato chi me lo facesse e mi son detto, vabbè me lo faro io, in qualche modo capirò come farlo”. Il brand eponimo, nato nell’agosto del 2017 – a Codigoro in provincia di Ferrara -, è dunque semplice risposta di un centennial curioso, stanco dei soliti cappelli di paglia, e sempre alle prese con il desiderio di concretizzare una sperticata creatività. La mal gestione di quest’ultima, infatti, ha sempre prevalso nella vita di Lucchi, classe 1995, ferrarese, che dopo una manciata di lavori casuali, e una serie di pellegrinaggi tra diverse facoltà universitarie, decide di seguire il suo istinto e incanalare il flusso creativo nella ricerca di un punto di incontro tra se stesso e gli altri, tra l’arte e il pubblico, allo scopo di non confondersi in una società addormentata, e con la tendenza facile all’omologazione.
A distanza di tre anni la “Roberto Lucchi Hats & Art” è una realtà abbastanza consolidata. Da collaborazioni con diverse fashion stylist, al mondo dello spettacolo, soprattutto in ambito musicale: Morgan, il rapper J-Ax, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro, Stash dei The Kolors, Le vibrazioni, basta scorrere il profilo Instagram del giovane ferrarese, per vedere solo alcune sue “famose” creazioni. “Mi definisco un artigiano e faccio cappelli, solo cappelli – specifica Lucchi -, non mi affido ad altri laboratori, e mi occupo di tutte le fasi di realizzazione, dalla scelta dei materiali al prodotto finito”.

La sua è una passione non ereditata e un’arte neppure tanto improvvisata. Il creativo completa il nome con Hats & Arts, start-up che parte da una formazione di base: studio, lavoro e ricerca sul campo per imparare tecnicamente “come fare questi benedetti cappelli”. Dai primi video su internet al lavoro dal vivo, il giovane cappellaio viaggia tra Firenze e Signa, piccolo comune toscano famoso per i cappellifici. Rimettendo in circolo antichi strumenti artigianali (forno a legna, dispositivi a vapore, conformatori del 1850), sostituiti da quelli più innovativi e tecnologici, e imparando da alcuni artigiani i segreti del mestiere, Roberto Lucchi si trova improvvisamente tra le mani la perfomanza di una vecchia arte handmade.
Una competenza dal twist contemporaneo, capace di fare la magia, ed estrapolare il lato interiore di ogni individuo, attraverso un oggetto calzante con i tratti più intimi della propria personalità. “Lavoro principalmente su misura, e il range del prezzo è variabile – spiega -, spesso mi capita anche di collaborare con i negozi, e di realizzare delle capsule ad hoc, seguendo la visione stilistica del punto vendita. Ad esempio, questo cappello con il fiore era ipotizzato per un negozio crossover che vendeva composizioni floreali”. Su un cappello nero a falda larga, invece, Lucchi adopera la tecnica del velvet aging “un piccolo invecchiamento che al tatto ha un effetto quasi vellutato, scamosciato”. Una creazione che invece era destinata a un shop di abbigliamento e accessori vintage.
Dettagli e sperimentazioni con i materiali, dunque rappresentano quel quid che su richiesta il giovane cappellaio, si diverte a calibrare. Anche se durante il lockdown, dietro il minuzioso lettering del lemma inglese Why, parte la libera riflessione di un artista (apparentemente) intrappolato nel suo laboratorio.

Davanti a noi, infatti, si dispiega una capsule, fresca fresca di creatività, e che riprende il concetto dei desideri e delle dipendenze, insieme alla necessità di tenersi sempre focalizzati sul presente “l’unico momento che davvero conta”.
Cappello dopo cappello, Roberto Lucchi – in un periodo di stasi imposto dall’emergenza sanitaria -, non perde tempo e plasma così uno storytelling personale: “I desideri in qualche modo ti proiettano nel futuro, mentre le dipendenze ti incatenano al passato, ovvero il rimanere su degli atteggiamenti continui, insieme al riproporsi di situazioni che non si cerca mai di evitare”. In men che non si dica, le piume e le catene diventano dettagli, simboli di significato, che sulle intelaiature minimal di cupole, tese e guarnizioni, questa volta raccontano del designer. Il desiderio di libertà che proietta nel futuro, richiamato con le piume, e poi la dipendenza dall’amore, una zavorra appesantita da catene e impunture che circoscrivono la tesa di un elegante cappello fedora rosa polvere
“Perché alla fine, se tu ci pensi bene bene – conclude Lucchi -, il senso della collezione, è che dipendenze e desideri hanno sempre lo stesso effetto; quello di tenerti distante dal ciò che stai vivendo: il presente, l’unico momento che davvero conta”.
N.B. Le ultime creazioni di Roberto Lucchi sono in vendita sullo shop online, consultabile dal link robertolucchi.com