MENTE IN LOCKDOWN

Il segreto di questo nuovo tempo

L’ultima cosa che ho fatto ieri sera prima di addormentarmi, è stata dare una sbirciatina a Facebook. Prima di scorrere le news, in alto a destra il refresh mi fa tenere d’occhio la campanella delle notifiche. La bacheca è aggiornata, e Vogue Italia primeggia tra le notizie: Video-intervista in quarantena: Alessandro Michele risponde alle domande di Vogue dalla sua casa romana

Che cosa dirà mai? Prima l’intervista di Simone Marchetti per La Repubblica (2015), poi quella più recente pubblicata da i-D Italy (2019): entrambe le esperienze, a distanza di tempo mi hanno lasciato incredibilmente qualcosa. E ora Vogue Italia, lo video-interroga durante la quarantena.

Con un occhio aperto l’altro a semicerchio, vorrei tuffarmi nell’ascolto e non perdere nessuna parola. In copertina, capellone e post show, il designer cammina in mezzo a camici bianchi appesi sulle relle. Era il 19 febbraio, ultima presentazione di Gucci, qualche giorno prima del mio viaggio a Milano, qualche giorno prima del tampone a Matteo, pseudo paziente 1. Calibrando la percentuale di attenzione che potrei dedicare o meno, tentenno ancora qualche secondo prima di aprire il link. “Che animo gentile!”, “No grazie!”, lo sguardo mi cade sui primi commenti. “Che bella persona piena di umanità, e che bello sentirlo parlare in Italiano, la nostra bellissima lingua”. 

La mia attenzione si accende su animo gentile, e inconsciamente anche sul fatto che l’intervista è in italiano. Dunque, sistemo il cuscino. Clicco. Dal mio letto il creativo appare in vestaglia (o almeno sembra). Mentre tutti gli esperti del COVID-19, farciscono i loro collegamenti via skype di libri forse mai letti, Alessandro Michele ha alle spalle un camino barocco e un angolo pieno di tutto. Sospesa in un bazar tra il giardino botanico e un boudoir del Seicento, ci metto un po’ a notare che ha i boccoli e gli occhiali identici a quelli che mio padre indossava negli anni 90. Che fine avranno mai fatto? Mi chiedo mentre dietro la montatura marrone, i suoi occhi da visionario filtrano lo schermo e sono neri e puliti. 

Ad ogni domanda – digitalmente – dattilografata da Vogue, il creativo risponde catartico. Nell’aria i canti gregoriani, accompagnano l’intervista, e in un provocante ingarbuglio tra sacro e profano, sembrano chiederti di riflettere e viaggiare insieme a lui. Vado un attimo da un’altra parte.
Quei canti, infatti, sono preghiere, ed io mi ritrovo ad Arles, in Francia. La necropoli romana sede della sfilata più suggestiva degli ultimi di due anni di moda – la Resort 2019 -, una fortuna per chi sia riuscito a vederla dal vivo: una parata di zombie e vedove vittoriane, ispirata alla morte e inscenata en plein air tra macabri rintocchi e lumi di candele. 

( Gucci Cruise 2019: per chi volesse vederla )

Che spettacolo, sì! Ma che impatto avrebbe oggi per il mainstream, uno show con quel tema? Ora che la moda è messa da parte e la conferenza stampa delle 18, ha detto che quei numeri sono più alti di quelli di ieri. Ora che attendo il tampone fatto a mia sorella che lavora al Pronto Soccorso. Ora che il pensiero va spesso a Bergamo, e mi chiedo se questa estate riuscirò rivedere mia madre. 

Purtroppo dall’idea di morte inscenata da Gucci ad Arles, la mente mi riporta a quella vera in Italia, è una cosa incontrollabile. L’ultimo dannato video con le bare, i camion militari. Tanti, troppi. Non avrei dovuto vederlo. Certe volte l’informazione mi insegue. Anzi la verità è che dovrei smettere di farmi domande. La verità è che dovrei smettere di spammare video, interviste, pareri sul Coronavirus, smettere di seguire ogni giorno da quel 23 febbraio, quella cavolo di conferenza stampa. E poi Borrelli davanti il bollettino, con le guance rosse e lo sguardo rassegnato che non accenna sorrisi, neppure sul numero dei guariti.

Ogni giorno siamo costretti a interfacciarci con un numero di morti sempre in crescita, come faremo a riassaporare la leggerezza della moda? Dovrei essere ottimista, avere fiducia e aspettare con attenzione mentre Alessandro Michele e i canti gregoriani mi suggeriscono di accettare questo nuovo tempo, in modo gentile.

Dopo l’intervista, infatti, per addormentarmi cerco il sonnifero nelle cose lasciate da questo fresco incontro digitale. La montagna incantata di Mann, le lezioni di musica sospese e riprese, l’uncinetto imparato da piccolo. Mentre esorcizzo i drammi e cerco Morfeo,  immagino il creativo, con le dita piene di anelli e smalti colorati, sfogliare pagine ingiallite, accordare una chitarra, intrecciare le maglie. Lo immagino con il jazz in sottofondo o i canti gregoriani, mentre esce di casa senza accorgersene. Dal terrazzo della sua casa romana, segue il volo dei gabbiani, riabbraccia sua sorella, i nipoti, beve un caffè al bar con il suo amore.

Il tutto nell’attesa di un nuovo livello di comprensione. Perché questo è un tempo nuovo, e malgrado i numeri, forse non ci resta che accettare con gentilezza. Ora è il momento dell’ascolto, dell’ hic et nunc, della pazienza. Vivere la quotidianità. Fare attenzione alla natura se ci parla, e magari fermarci se qualcuno chiede aiuto. Interrogarci sull’effimero, su cosa o chi ci manca davvero. La moda, la scienza, la vita, l’ambiente, l’umanità, il presente, tutto sta decantando nella stessa bolla ed è in fase di gestazione. Non possiamo toccare niente. Non è ancora il momento di uscire dalle nostre case. Non è ancora il momento di ripartire a scaglioni. Non è neppure il momento di pontificare sul come saremo o sul come sarà.

Siamo casuali, e dovremmo esserlo in modo gentile. Oggi spettatori, domani testimoni. La storia forse ne parlerà sui libri, qualcuno dal futuro lo leggerà. Forse si studierà a scuola, come noi abbiamo fatto con Alessandro Manzoni e con le guerre mondiali, e non importa se la carta esisterà ancora, alla fine la storia racconterà di noi che oggi siamo casuali, e in modo gentile abbiamo sostenuto il peso di ridare a tutto un valore nuovo. Un valore diverso.

Alessandro Michele di Gucci |Illustazione di Gabriele Melodia

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