“C’è un tempo e un luogo giusto, perché qualsiasi cosa abbia principio e fine” sussurra Miranda prima di svanire tra le alture di Hanging Rock nel giorno di San Valentino. Del perché di quella magnetica e puerile ascensione nel film diretto da Peter Weir, Picnic a Hanging Rock (1975), non se ne tratta per niente. Così, l’attenzione rimpalla avviluppata tra i cunicoli di pietra, e la florida vegetazione del bush australiano; rispettando anche l’enigma irrisolto dell’omonimo romanzo di Joan Lindsay – da cui la pellicola è tratta.
Ci sono eventi e luoghi che dunque fuggono al controllo degli uomini. Come intervalli improvvisi di spazi urbani, certe nature sconosciute ai vecchi ritmi quotidiani, si dispiegano in un tempo fuori dal tempo. Dotate di energie ancestrali sono capaci di impigliare l’umano, nel loro conturbante oscillare tra una dimensione e l’altra.
Come le allieve dell’Appleyard College, la storia si ripete. Nota dopo nota, la melodia al pianoforte di Bruce Smeaton, The Ascent Music, accompagna il passo dopo passo di giovani, sedotti nel giorno degli innamorati, dal richiamo maledetto della boscaglia.
Un passeggio scandito da quel “filo comune”, che rivela i romantici crochet sferruzzati da Italo Marseglia durante la pandemia, fibre recuperate da una ragnatela di donazioni partite dal web. Da digitale ad analogico, da virtuale a materiale, gli abiti e le maglie sono senza genere e abbracciano quel ritorno contemporaneo a Hanging Rock; ma in un attimo cadono le regole, cadono finzioni, cade la ragione, la paura, l’orientamento. Quei capi lavorati con dovizia si destrutturano dalle forme e resta solo una coperta. Di quell’incedere ameno e stregato, restano anche i dizionari sulla terra: strumenti di comunicazione gravosi come massi, incastrati plasticamente tra i due mondi, nell’eterna ricerca di un linguaggio vetusto per sbrogliare l’umanità.
CREDITS:
Regia: Rossano Giuppa.
Fotografia: Simone Passeri
Abiti: Italo Marseglia
Models: Zoe Factory
Hair Styling &Mua: Making Beauty Management