All’inizio dell’anno mi ero promessa che sarei “uscita dal web”. Nel senso che avrei conosciuto di persona, quelle persone con le quali, sui social, mi capita di interagire quasi quotidianamente.
La mattina della vigilia di Capodanno, in fila al supermercato, stavo facendo delle IG stories (perchè ammettiamolo, ormai siamo tutti un po’ malati di “live”!).
Cristina Ferro, una collega di Firenze, mi scrive su direct, la chat privata di Instagram. Leggo subito, avevo il cellulare in mano, mi chiede se per caso avessi in programma di andare al Pitti a Gennaio. A Gennaio? Al Pitti? Praticamente 9 giorni dopo. No, che non avevo nulla del genere in programma! E no, che non mi ero neppure informata sulle varie ed eventuali procedure di accredito…
Ma Cristina è veloce, e mi manda subito un invito. L’invito per l’evento di Styleforum, promosso da lei, e organizzato in occasione del Pitti, a Firenze dal 9 al 11 Gennaio, appunto.
Eh sì, perchè Cristina dal vivo, nella vita vera, alla fine non l’ho mai incontrata. Fin dalle prime pagine su Facebook, dai primi tweet sul cellulare, dalle prime foto condivise, le nostre interazioni vantano un numero svariato di anni (6 o 7 più o meno, chi se lo ricorda!).
E allora, quale migliore occasione per iniziare bene l’anno? O quantomeno cercando di rispettare uno di quei buoni propositi. Che poi, c’è chi li chiama obiettivi, pianificazioni, goals, e poi chi li odia, li teme, ha l’ansia, non li fa mai, insomma quelle promesse d’inizio anno che Dio solo sa, dove vanno a finire, quando la vita beffarda e insana, procede.
Lasciare per un attimo Roma, comfort zone quasi pronta ad uccidermi, conoscere nuovi designer e artigiani, toccare con mano storia, passione, e sogni attraverso prodotti rigorosamente handmade. Ed infine, stringere anche la mano a lei, Cristina Ferro, Consulente d’Immagine, made in Florence, collega virtuale di sempre.
Erano queste le parole, che in pensieri correvano come lampi elettrici nella mia mente.
L’occasione sensata di “uscire dal web”, proprio come mi ero promessa, si manifestava davanti a me, concreta come una mano tesa che arriva all’improvviso, quando non te lo aspetti, mentre sei in fila alla cassa di un supermercato, e per un tempo limitato ti punta, sta lì ad attendere, per vedere sei hai il coraggio, di mantenere le tue promesse.
Ed io dunque, non potevo mancare.
Risposi subito a Cristina che ci avrei pensato, e in cuor mio già scandagliavo le tre date, per scegliere il martedì 9; così nei giorni a seguire, quasi inconsapevolmente, mi ritrovai a cercare i modi per organizzarmi e partire, piuttosto che svariate scuse, per lasciar perdere e rimandare.
Feci aspettare lo stesso quella mano tesa, paziente, disposta a farmi mantenere la promessa, così la Vigilia, la notte di San Silvestro, Capodanno, e il sabato con quella vecchia di una Befana, che obbligò la domenica a spazzar via tutte le feste, passarono in fretta, e solo il giorno prima della partenza, scrissi una mail di conferma, alla mia collega virtuale. Lei, celere a sua volta, mi mandò il numero del cellulare, e spontaneamente rimarcò sulla splendida occasione di conoscere e vedere all’opera, quei piccoli grandi attori della moda.
Il pensiero mi provocò una forte gioia, adrenalinica. Perchè finalmente ero certa. Ero certa che “salvo imprevisti” sarei stata lì, l’indomani mattina, finalmente lontano da Roma, fuori dal web. E speranzosa anche di avere meno gente intorno, per concentrarmi su di loro, i quattro artigiani, eroi contemporanei raccolti tutti, in occasione del Pitti Uomo, la mattina dopo partii presto, prestissimo.
Poco dopo le dieci, quasi ad inaugurare la mostra modaiola, mi trovavo già a Firenze, culla del Rinascimento, come recitava quella pubblicità, tempo addietro. Durante il breve viaggio in macchina, avevo ingurgitato il comunicato stampa, e in piazza della Signoria, con il TomTom in mano, cercando la via della location, lo ripetevo tra me e me come un mantra, ansiosa di corrispondere le persone alle parole. Ad ogni passo che facevo, la mia versione del Pitti Uomo, prendeva forma. Quasi non mi sembrava vero che quel giorno avrei portato a casa con me, oltre Cristina, anche i sogni di quei (futuri) miei nuovi eroi che stavo lì lì per conoscere.
Steve Jobs diceva sempre che, per conoscere bene una persona, bisogna sapere chi sono i suoi eroi. E qui, io vi dico subito che i miei di eroi, sono anche loro. Sono loro che la moda la fanno, la creano, la inseguono con ingegno, intuizione, passione, idee, giorno dopo giorno, fermando e poi ingannando il tempo, ostacoli, ansie, mostri, rischiando se stessi, puntando se stessi. Perchè grazie alla loro passione, poi mettono alla prova anche me, che affamata di moda, superando paure, ogni volta mi scopro a superare me stessa, seguendo loro che lasciano un segno, incantevole dettagliato, certosino, sempre e ovunque.
Un segno come questo, lasciato nell’occasione a Firenze, in via Chiasso del Buco 28r. Viuzza antica e stretta, casella di un posto prezioso, al riparo dall’andirivieni del centro, di una casa prestata alla moda, nascosta dietro ampie porte di vetro, come una teca a proteggerli tutti: Belisario Camicie, A.B.K., GIIN e I Sarti Italiani, realtà artigianali nazionali e internazionali, quel giorno (futuri) miei nuovi eroi.
Ed io, giunta a destinazione, dietro le porte di vetro, prima di conoscere loro, riconobbi subito lei, Cristina. Che era identica a quella del web. Capelli rossi, lisci sulle guance, occhi scuri vispi e profondi, sorridente, slanciata, diversa da come la immaginavo io. A sciogliere l’emozione un fortissimo abbraccio, come se ci conoscessimo e non vedessimo da tempo. Spontaneo non darci per niente la mano, ma un semplice e caldo benvenuto.

Lo spazio era bellissimo, due piani, all’interno di un edificio storico, a due passi da piazza della Signoria. Ampie vetrate, muri in pietra, pavimenti in parquet, con inserti in vetro trasparente, scale a chiocciola in ferro e colonnine con affreschi rinascimentali, testimonianze del nostro passato, che in quel presente, maestose, facevan capolino dalle zone più profonde dell’appartamento.
“Alcune case e uffici del centro storico, sono così belli e prestigiosi che, spesso si prestano alla moda” mi dice subito Cristina, mostrandomi che sotto ai nostri piedi, la stanza che s’intravedeva, dai quadrati di pavimento in vetro, era la cucina.
La cucina di quella splendida casa trasformata appunto in location, per ospitare i quattro artigiani con i loro brand, protagonisti dello Styleforum Maker Place e di quella mia fervida mattinata fiorentina.
Così, con lei da guida, dopo meraviglie, saluti e presentazioni, finalmente mi accingevo ad iniziare quel percorso che, sapevo quanto di certo, mi avrebbe arricchita lo sguardo, la testa, il cuore e la mente…
Gli artigiani dello Styleforum Maker Place
BELISARIO
Percorso iniziato con una storia di moda di oltre cent’anni, quando era tradizione per ogni famiglia avere un sarto in casa che cucisse gli abiti a tutti. “E noi siamo partiti proprio da una piccola bottega, passando pian piano a qualcosa di più strutturato, mantenendo intatta quella tradizione dell’epoca, con ragazze che collaborano con noi da anni, formate continuamente” inizia così Marco Belisario, proprietario insieme alla moglie Urania del brand che porta il suo nome.
Tono di voce fievole, distinto e sorriso garbato, a conferma di quell’eleganza italiana e praticamente senza tempo. Come l’artigianalità delle sue creazioni, camicie da uomo realizzate in Italia con materiali pregiati, pregiatissimi. “Cotone doppio, triplo o quadruplo ritorto” lavorazione dove i fili del materiale utilizzato vengono attorcigliati su loro stessi, per garantire quella trama più spessa, morbida e luminosa.
“Il nostro principio è condiviso con il marchio Brioni, e quell’idea di sartorialità abbruzzese nata poco dopo la seconda guerra mondiale, grazie al sarto Gaetano Savini e l’ex amministratore delegato Lucio Marcotullio, raggruppando in un garage in affitto, tutti i sarti a servizio delle famiglie in città”.

Perchè Belisario Camicie nasce proprio accanto a questi “mostri sacri” e Marco con il suo racconto mi trasmette l’urgenza, la necessità di quel made in Italy autentico. Prende l’Ipad e mi mostra un video, con il primo piano di due manine laboriose, intente a dettagliare un’asola.

E poi dalle asole, mi racconta dei colli, mi descrive Ischia colletto ampio e senza bottoni, innovativo vagamente casual, creato appositamente per i loro prodotti. Ed io sono rapita dalle maxi rouches verticali, di una camicia da uomo, che può essere anche da donna.
Questo a testimonianza di un brand che, nonostante l’arte da preservare, oggi lavora e investe sulla ricerca di materiali, idee, il tutto per tramandare giorno dopo giorno, l’arte di quel mestiere laborioso, praticato per una vita intera.
A.B.K. Custom Leather Craft
Neanche il tempo di girare lo sguardo, in direzione opposta a quel racconto italiano di oltre cent’anni, che rannicchiata nell’angolo, scorgo una giovane donna, intenta a rifinire un paio di scarpe in pelle marrone. Attenta, concentrata, quasi ho paura a disturbarla.
Cristina la chiama. Lei solleva la testa, sorride e si alza. Si chiama Alya, mente e mano, insieme alla sorella Katya del brand newyorkese A.B.K. Custom Leather Craflt.
Inizia a parlarmi in inglese, alta composta e misurata in ogni suo gesto, e grazie a Cristina riesco a starle dietro. Ha gli occhi chiari, capelli nascosti dentro un foulard blu notte, look total black sotto un gilet dal taglio maschile grigio. Guardo lei, la sua immagine così androgina e dolce, e poi con meraviglia i suoi prodotti: scarpe, borse, portafogli, cinture, tutto realizzato a mano con pelli non trattate, conciate senza niente di chimico. E questo si vede anche dai colori che rispettano quei toni caldi e naturali.
Ma io sono fissata con l’ispirazione che muove tutto. Si mescola con lo stile di un brand e lo esalta, così guardando le sue creazioni, chiedo ad Alya quale fosse la sua. Ci pensa poco e mi risponde che non ne ha, e che le basta vedere i materiali, sono loro che suggeriscono cosa fare.
Così dall’espositore mi incuriosiscono delle pietre, cicciotte e rivestite minuziosamente con dei sacchetti in pelle. “Sono dei ferma carte, e le pietre che ho usato sono quelle che ho preso dal vialetto di casa sua.”

Alya subito mi racconta la storia di quell’accessorio, nato dall’idea di fare un regalo ad un amico. Ed io, sarà stata anche Firenze, ma penso subito a Michelangelo, e a quella roba che faceva con la pietra. E ritorno all’arte di Alya e di Katya, solo che loro, la pietra la rivestono pure, e lo fanno con la pelle, dall’America senza Firenze, e cucendo tutto rigorosamente a mano.

GIIN
Seguendo il mio percorso, a metà di quella casa diventata ormai sede dello Styleforum Maker Space, aspettano loro, una coppia di giapponesi, pronti a mostrarmi le loro splendide ri-creazioni.
Il motto del brand è “elementi essenziali elevati” tutto racchiuso in una semplice parola GIIN. E Frank e Jennifer (anche se dai nomi non si direbbe) sono i tipici giapponesi.
Piccolini, eleganti e che ti salutano accennando quell’ inchino distinto e garbato. Frank si scusa di non parlare italiano, e con in mano i petali di un fiore, inizia a raccontarmi come nascono i suoi accessori. Davanti a noi, un tavolo bianco fa da sfondo a delle piccole teche con dentro i fiori. Colorati, allegri, in tutte le loro dimensioni e sfumature.

Perchè Frank ci tiene a dirmi, come tutto sia partito, da quella sua incredibile idea di fermare la freschezza di un fiore, appunto. E i suoi, di fiori, sembrano finti e non lo sono, e grazie a quella idea creativa diventano boutonnierès da mettere all’occhiello.
Un mondo così delicato e romantico che con eleganza entra a far parte dell’abbigliamento maschile. Un lavoro meticoloso fatto di tanti passaggi, partendo da un fiore fresco. Smontato letteralmente di tutti i suoi petali. Petali trattati, uno per uno, con la resina, e quindi riassemblati come in origine e in un oggetto nuovo, prezioso, destinato a durare nel tempo.

Cristina m’invita a toccare i singoli petali, ed io insieme a lei, quasi m’incanto, pontificando su quanto fosse unisex quell’idea di Frank e Jennifer. E da calabrese penso al sud, e alla felicità di una sposa nell’avere in quel giorno, dei fiori freschi senza tempo proprio come questi… da conservare in ricordo del suo matrimonio.
Con in mente il sud, li ringrazio. Prendo il loro bigliettino da visita e seguo Cristina che va avanti, e con la testa mi fa segno di continuare…
I SARTI ITALIANI
In fondo alla casa, proprio di fronte all’affresco, ad aspettarci l’ultimo stand, quello de I Sarti Italiani.

“Il nostro brand parte come sempre dalla famiglia, dalla nonna al nipote, che sarei io, salta una generazione, perchè papa ha sempre adorato fare il vigile del fuoco”.

Ti aspetti un uomo, magari di mezza età, invece a rappresentare quell’antica sartoria di famiglia, trovi lui, Salvo. Un giovane ragazzo siciliano, elegante, sbarazzino con un look tutto suo, fatto di quei dettagli che ti fanno pensare ad un mix&match contemporaneo, dove tradizione e made in Italy si fondono con il riconoscibile tocco british.
Con gli occhi allegri, sicuri e pieni di sogni, Salvo inizia la sua storia, che io, con il cellulare in mano, cerco senza indugio di catturare.
Di lui, si vede subito che è nato in sartoria, anche da come porta i suoi di abiti “da grande”, fatti di uno stile unico, combinato con carattere e cucito su misura.
“Oggi i punti vendita sono tre in Sicilia, mentre il laboratorio si trova in un posto nascosto in provincia di Palermo, lontano dal caos della città”. Roba che nella moda, non mi suona per niente nuova, e mentre Salvo mi racconta, viaggio in un flash con la mente. Penso al grande Antonio Marras, che vive e lavora in una casa-laboratorio tra le colline in Sardegna, al giovane Alessandro Michele, visionario direttore creativo di Gucci, che si nasconde spesso a Civita di Bagnoregio.
Anche loro, come lui, per creare scelgono posti fermi nel tempo, magici, indisturbati e sempre vicini alla natura. E tutto questo per I Sarti Italiani, dura da trent’anni, perchè è dal 1986 che dalla provincia di Palermo realizzano abiti, adoperando tessuti pregiatissimi.
Con Cristina tocchiamo uno scampolo di Principe di Galles, leggerissimo, setoso, ma molto più robusto perchè si utilizza il doppio del tessuto. “Super 180” precisa Salvo, perchè in un piccolissimo filato ci sono 180 rotazioni, invece di 120/130.
Prodotti di nicchia insomma, dove il giovane Salvo, per il suo brand fatto di tradizione, guarda avanti. Nuove collaborazioni, come quella in fieri, con Filippo Ioco, il grande body painter, iniziata per caso ad un evento, durante il quale lo stesso Filippo non aveva un abito, e ispirandosi a I Sarti Italiani se l’è dipinto, e pure con la classica fantasia a quadri.
Ed io, come vi dicevo qualche riga più su, già lo sapevo. Già lo sapevo che per mantenere la mia promessa, da quella velocissima gitarella fiorentina, a casa mia avrei riportato lo sguardo, la testa, il cuore e la mente più ricca.
Ricca di storie di persone che, oltre tutto e tutti, la moda la fanno, la creano.
Tramandando arte e mestieri, in Italia o dall’altra parte del mondo, da niente, come faceva Michelangelo guardando una pietra, o incredibilmente fermando la freschezza di un fiore.
Marco, Alya, Frank, Jennifer e Salvo, eccoli qui i miei nuovi eroi,
eroi contemporanei di quella mia promessa divenuta realtà.
Fuori dal web.